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FIP MARCHE STORIES. Nelson Rizzitiello. esperienza e passione per far tornare grande Jesi

07 Febbraio 2025

Dal campo a dietro la scrivania il passo è breve, spesso il proseguimento naturale di una carriera iniziata sudando con una canotta addosso e continuata con i compiti di gestione e organizzazione dettati dalla grande esperienza maturata. Un legame continuo con quel mondo che fa compagnia sin dall’adolescenza e rimane incollato addosso per sempre. La storia d’amore di Nelson Rizzitiello con il basket inizia negli anni ’90, nella sua Jesi. Lui, cresciuto nel pieno centro della città di Federico II, che incontra il mondo della palla a spicchi, un movimento che stava imperversando con l’Aurora in Serie A e radicando su un territorio comunque pieno di passione per questo sport. Le stagioni nella “cantera” leoncella e poi la prima esperienza fuori casa. Nel 2004, appena ventenne, Rizzitiello va alla Stella Azzurra Roma in quello che sarà solo il primo capitolo di un lungo percorso che lo ha portato in giro per l’Italia fino a diventare un autentico crack per la Serie B, categoria che ha saputo vincere tre volte e dominare per oltre un decennio. La parentesi di Roma si chiude e torna a casa con Jesi che lo manda a sbucciarsi gomiti e ginocchia nella cadetteria della vicina Ancona. Quello nel capoluogo marchigiano sarà il trampolino di lancio definitivo. Patti, Barcellona, San Severo, Piacenza, Napoli, Scafati, Trapani e Palermo. A Roma sponda Eurobasket vince il suo primo campionato. Poi Montecatini, le Marche di Montegranaro con un altra promozione ottenuta così come l’anno dopo in quel di Cento. Arrivano poi le tappe di Palestrina, Omegna e infine Jesi dove ritorna da uomo esperto e navigato nel 2021 nell’ultimo anno da giocatore. Un brutto infortunio chiude forse in anticipo la carriera ma non il feeling con la pallacanestro. E nella sua Jesi inizia il percorso dirigenziale mettendo la lunga esperienza al servizio dell’Aurora che si tramuta poi nell’attuale Basket Jesi Academy.


Iniziamo dall’attualità. Come giudichi la stagione jesina fino a questo momento?
“Negli anni ho imparato che le somme e i giudizi si fanno sempre alla fine. Finora comunque è stata una stagione con alti e bassi, un inizio non tanto positivo soprattutto a livello di risultati. Poi ci siamo compattati, vinto partite importanti ma anche perso alcune abbordabili. E’ un campionato veramente difficile basti guardare i risultati che arrivano ogni domenica dove non mancano mai le sorprese. Comunque al momento il bicchiere è mezzo pieno ma chiaramente aspettiamo la fine per esprimere giudizi. “

La posizione attuale di classifica è comunque in linea con le previsioni di inizio stagione?
Il nostro obbiettivo è stare dove siamo attualmente, siamo in linea con i programmi iniziali ma mancano ancora tantissime partite da giocare.”

Un campionato durissimo come c’era da aspettarselo. Sarà decisiva anche la componente della tenuta fisica?
Sarà fondamentale anche l’aspetto fisico. Vediamo che ogni squadra convive con tanti infortuni in un campionato davvero tosto e complicato anche da sotto questo aspetto. Per quanto ci riguarda dobbiamo considerare che all’inizio dell’anno avevamo pensato a una squadra lunga con nove giocatori arruolabili ma ultimamente abbiamo avuto una serie di problemi di natura fisica che hanno davvero minato il lavoro settimanale e decimato le rotazioni in partita. Purtroppo sono fattori imprevedibili a inizio anno. “

Negli anni siete sempre stati capaci di intervenire sul mercato invernale con innesti efficaci e a volte decisivi. Altro segnale della bontà del vostro lavoro anche fuori dal campo.
Ritengo che le squadre di debbano fare principalmente in estate, in corsa si possono fare dei ritocchi ma non certo stravolgere i roster. Bisogna comunque ammettere che gli interventi agli organici fatti in corsa in questi anni hanno sempre avuto buoni risultati. Questo anche per l’ottimo rapporto con coach Ghizzinardi con il quale si è instaurato un gran bel feeling e amicizia e credo che i risultati ottenuti possano dipendere anche da questo.”

La tua è stata una carriera da giocatore lunga, spesa in giro per l’Italia. Qual è l’esperienza che ricordi con più piacere?
“Ovviamente le vittorie lasciano in bocca un sapore particolare. I tre campionati vinti hanno avuto ognuno un apporto strapositivo. A Roma è stato il mio primo successo e non si può scordare. Il secondo a Montegranaro è stata una riconferma oltre ad essere stata un vittoria incredibile al termine delle Final Four, una promozione inaspettata al termine di una stagione dove arrivai a metà anno e poi fu felicità doppia perchè una vittoria arrivata vicino casa. Poi ci fu la vittoria con Cento, ero diventato un amuleto, ma è stata bellissima perchè proprio in quell’anno stavo aspettando il secondo figlio e anche a livello personale è stato un anno pieno di soddisfazioni e gioie indimenticabili.”

E l’altra faccia della medaglia. Quale è stata la parentesi da dimenticare?
“A conti fatti ho comunque perso più campionati che vinti. Gioie e dolori dello sport. L’anno a Napoli è stato forse quello più brutto aldilà dei problemi societari. Era l’anno del campionato diviso in conference e dominammo quella stagione ma poi siamo usciti al primo turno dei playoff. Stessa cosa successe a Piacenza. Annate con una grande regular season e poi fuori subito lasciano il segno negativo nelle memorie di un giocatore. Ci sono state poi altre finali perse a Trapani e San Severo anche quelle esperienze negative ma dovute principalmente ai risultati ottenuti sul campo.”

Capitolo allenatori. Ne hai avuti tanti, con quali di loro hai legato meglio e sei rimasto magari ancora in contatto?
Dei tempi delle giovanili ricordo con grande piacere Germano D’Arcangeli, il primo che ho avuto ai tempi della Stella Azzurra. Luca Banchi è stato l’allenatore che mi ha formato maggiormente dal punto di vista di giocatore. Ricordo con grande piacere i tanti allenamenti individuali svolti con lui e ogni tanto ancora oggi ci sentiamo confrontandoci a vicenda. Di allenatori ne ho avuti tanti e ce ne sono diversi con i quali ho avuto un bel rapporto perchè da ognuno di loro ho voluto imparare qualcosa. Anche con Giovanni Benedetto c’è stato un ottimo rapporto in campo e fuori.”

Hai anche avuto esperienza con la maglia dell’Italia giovanile. Com’è stato indossare l’Azzurro?
“Anche li ci sono dei ricordi bellissimi che custodisco, specialmente il primo giorno con la maglia con la scritta Italia sul petto. Se ne parla poco perché i campionati vinti fanno ovviamente più clamore ma indossare quella maglia per me è stata una emozione assoluta.” Rizzitiello giocò il Torneo dell’Amicizia con l’Under 18 dell’Italia nel 2001 a Cuneo.

Che caratteristiche deve avere il tuo allenatore ideale?
“Una grande dedizione al lavoro e disponibilità nel far migliorare il singolo giocatore. Molti allenatori entrano in palestra facendo il loro allenamento in maniera superficiale pur di qualità. Quella passione in più per la crescita e il miglioramento quotidiano di ogni singolo giocatore, specie quelli più giovani, può fare la differenza.”

Rispetto ai tuoi inizi sono passati più di vent’anni. Qual è la differenza tra la Serie B di allora e quella attuale?
“Partiamo dal presupposto che quest’anno il campionato ha alzato molto il suo livello rispetto alle ultime edizioni. Ci sono squadre molto più complete e questo anche rispetto a un tempo. Adesso il gioco è sicuramente più fisico in confronto a prima ma forse meno tecnico con un calo delle capacità di capire la comprensione del gioco e di fare determinate le letture. Un tempo c’erano giocatori più completi, ora troviamo molta più fisicità a discapito della tattica. Questo è forse penalizzante sotto il profilo tecnico con tante scelte sbagliate all’interno di una partita dove però vediamo tiri da nove metri o schiacciate che spettacolarizzano molto il gioco.”

Cosa pensi sia dovuto questo cambiamento? Il talento è diminuito?
“Non credo dipenda dal talento individuale del giocatore che penso sia sempre quello. Penso invece che la metamorfosi sia dovuta al lavoro in palestra. Un tempo si lavorava di più sui fondamentali, forse c’era più tempo per gli allenatori e disponibilità dei ragazzi stessi. Ricordo che io andavo in palestra ogni giorno mezzora prima e facevo sempre qualcosa in più. Adesso non è più così.”

Questione di attitudine al lavoro? Non credi che si possa riformare tutto questo magari partendo dalle giovanili?
“Sicuramente è un insegnamento che deve partire dal basso inculcando la cultura del lavoro e farne un’abitudine come un tempo. Chiaramente non è facile e posso anche capirlo. Oggi gli allenatori sono chiamati a raccogliere i risultati più in fretta perchè vengono valutati in base a quello che raccolgono le loro squadre sul campo. Si vuole tutto e subito e non solo in ambito sportivo, invece di avere pazienza per crescere e migliorare.”

La tua carriera di giocatore è terminata un pò anzitempo. Quel brutto infortunio ha forzato il ritiro. Se non fosse arrivato saresti ancora in campo?
“Purtroppo fa parte del gioco. E’ stato un brutto infortunio che mi ha portato sofferenze sia fisiche che emotive. Riprendermi è stata dura e l’ho fatto poi al 100% con gli stessi dottori che mi avevano in cura quasi sorpresi dalla celerità con cui mi sono rimesso in piedi arrivando perfino a giochicchiare ogni tanto. Avevo quindi recuperato, ma mi sentivo svuotato e ho deciso che quell’episodio avrebbe messo fine alla mia carriera di giocatore. Ho preferito finire così piuttosto che con qualche altro anno in più ma speso con l’anonimato che ti accompagna fino alla fine fisiologica della carriera. Ho chiuso una bellissima carriera con tanti ricordi e intrapreso quella da dirigente che spero possa essere altrettanto piacevole e ricca.”

Eppure siamo sicuri che ogni domenica da dietro quel cubo del cambio, seduto sulla tua sedia, scalpiti e vorresti a volte rimettere quella canotta dimostrando come si fa…
“Assolutamente si. Capita ogni domenica…”

Il tuo futuro?
“Parallelamente all’attività nella pallacanestro ho la mia attività professionale con un agenzia di consulenza finanziaria. Vedremo se arriverà un punto in cui sarò chiamato a decidere cosa dover fare. Per adesso sono due cose che possono viaggiare in parallelo. Nel basket sto cercando di dare il mio contributo per riportare Jesi a un buon livello. Come prima squadra direi che la strada è quella giusta anche se molto lunga. Quest’anno abbiamo voluto allargare il progetto di rifondazione anche dalle giovanili. E’ un pò un anno zero con l’arrivo di nuove figure che si occupano 24 ore al giorno dei nostri gruppi under. Non è affatto semplice per tanti motivi ma stiamo cercando di rimodellare tutto. Lasciamo parlare i risultati che speriamo un giorno.”

Ufficio Stampa FIP MARCHE